Eroi d'América: Julio Libonatti
© foto di Nicolo' Zangirolami/Image Sport
Nato a Rosario da genitori italiani, Julio Libonatti ci mette poco a sfondare nel calcio argentino, tanto da esordire già a 16 anni, con la maglia del Newell’s Old Boys. Piccolo di statura, ma dalla tecnica raffinatissima e dall’innato senso del gol, per Libonatti i tifosi rosarini coniano più di un soprannome, da El Matador, che non ha bisogno di traduzione, a El Potrillo, il puledro. Nel club che vedrà nascere Leo Messi e che riceverà qualche lampo di classe anche dall’ultimo, declinante, Maradona, Libonatti si segnala a suon di gol, tanto da arrivare in nazionale a soli 18 anni, esordendo contro l’odiato Uruguay. Ed è un esordio col botto, visto il risultato di 6-1 e, soprattutto, la sua tripletta che ne fa subito un beniamino di tutta la tifoseria albiceleste.
Il primo assalto alla Copa América, nel 1920, non va a buon fine. Nonostante una rete nel 2-0 al Brasile, Libonatti e compagni devono arrendersi alla superiorità della Celeste di Ángel Romano e Piendibene, che li sopravanza di un punto in classifica bloccando il risultato sul pareggio nello scontro diretto. Per la vendetta bisogna attendere solo dodici mesi, ma è una dolce vendetta, soprattutto per Libonatti. Si gioca proprio in Argentina e il pubblico di casa vuole un solo risultato, la conquista del primo titolo continentale.
Per farlo serve un eroe e il giovane Julio si candida subito per il ruolo. Segna il gol partita nella gara inaugurale contro il Brasile, per poi aprire le marcature dopo un solo minuto nel 3-0 al debuttante Paraguay. A questo punto basta un pareggio contro i grandi nemici uruguayani per mantenere il vantaggio ed evitare lo spareggio. Oltre 30000 persone, ben sopra la capienza massima, invadono lo stadio Barracas di Buenos Aires per assistere alla partita e spingere i propri beniamini alla vittoria. Stavolta non resteranno delusi, perché al decimo della ripresa proprio Libonatti firma il gol che chiude i conti e gli vale anche il titolo di capocannoniere del torneo. Al fischio finale scoppia inarrestabile l’euforia, tanto che l’attaccante rosarino, ormai eroe di un intero Paese, viene portato in trionfo per chilometri, dallo stadio fino a Plaza de Mayo.
Nonostante la popolarità, comunque, non lascia il suo club per quelli più titolati, almeno fino al 1925, quando arriva una chiamata dall’Italia. L’ambizioso presidente del Torino ha intenzione di costruire una squadra che possa finalmente lottare per il titolo e contendere la leadership cittadina alla Juventus. Si concretizza, così, il primo acquisto di uno straniero da parte di una squadra italiana, grazie ad una norma che permette l’ingaggio di giocatori da altre federazioni, purché abbiano genitori italiani. I bianconeri vincono il primo round, nel 1926, ma l’anno dopo, il Torino è inarrestabile, guidato da un reparto d’attacco straordinario, formato da Libonatti, Baloncieri e Rossetti. Per Libonatti ci sono 21 gol in 27 presenze, e per i granata, dopo l’ultima vittoria contro il Milan, c’è la festa per il primo tricolore.
Nei mesi successivi, però, scoppia il “caso Allemandi” con sospetti di corruzione nei confronti del giocatore juventino in occasione del derby. A nulla vale il fatto che Allemandi in quella partita sia stato il migliore in campo, perché il titolo viene revocato e mai più assegnato. La voglia di rivincita è enorme per tutta la squadra e il dominio della stagione precedente viene replicato e se possibile incrementato. Libonatti chiude da capocannoniere con lo strepitoso score di 35 reti in 31 presenze e alle sue spalle, con 31 centri, si piazza il collega di reparto Baloncieri. Stavolta niente arriverà a cancellare il primo storico scudetto del Torino.
Visti i tempi e le regole flessibili dell’epoca ci vuole poco per l’esordio in maglia azzurra, già nel 1926 nella sfortunata sconfitta con la Cecoslovacchia. In tutto, con la maglia della nazionale italiana, giocherà 17 gare andando a segno 15 volte, con l’acuto della Coppa Internazionale, l’antenata dell’Europeo, vinta nel 1930 da capocannoniere. Un doppio bis ineguagliato. Dopo di lui l’Italia farà grande uso degli oriundi, dando il via all’epoca d’oro di Vittorio Pozzo.
Libonatti resta al Torino fino al 1934, per poi passare al Genoa, che contribuisce a far tornare subito in Serie A, giocando poi un’ultima stagione in rosso blu, prima del ritiro. Chiusa la carriera inizia il difficile, perché per colpa di uno stile di vita troppo godereccio, finisce per restare senza soldi, tanto che per tornare in Argentina dovrà farsi pagare il biglietto del piroscafo. Morirà a 80 anni nella sua Rosario, indimenticato eroe dei due mondi.
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