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Eroi d'América: José Manuel Moreno

Eroi d'América: José Manuel Moreno

© foto di Daniele Buffa/Image Sport
Oltre venti anni di carriera, conditi da dodici campionati nazionali in quattro Paesi diversi, più quattro titoli continentali nelle cinque edizioni disputate. È il bottino di un fuoriclasse epocale, frenato solo dall'Oceano Atlantico.
 di  Oreste Giannetta   vedi letture

Un classico esempio di come non giocare in Europa e non disputare i mondiali possa influire negativamente sulla fama di un giocatore. José Manuel Moreno, parte integrante de “La Máquina”, lo splendido River Plate degli anni Quaranta, nel 1999 è stato inserito al 25° posto tra i migliori giocatori del secolo e al quinto per quanto riguarda il Sudamerica, dietro i soli Pelé, Maradona, Di Stéfano e Garrincha. Eppure sono certo che tra chi sta leggendo in ben pochi lo conoscono.
Nato nel 1916 a Buenos Aires, nel quartiere genovese de La Boca, Moreno si forma calcisticamente giocando per le strade che circondano la Bombonera, lo stadio del Boca Juniors. Proprio con gli Xeneizes tenta la sua prima avventura, ma non supera il provino. Gli si prospetta una carriera da operaio, ma a salvarlo sono i grandi rivali del Boca, il River Plate. Entra nelle giovanili ed esordisce in prima squadra nel 1935 insieme ad un altro giocatore che farà la storia del club, “El Maestro” Adolfo Pedernera. Dopo gli inizi come centravanti viene spostato nel ruolo di mezzala destra, arrivando ai massimi livelli di rendimento. Dotato di un eccellente dribbling e di ottime capacità di regista, ha anche un fisico potente, che gli permette di essere letale quando avanza per colpire di testa. Tutto questo, unito ad una grande personalità, ne fanno presto il leader della squadra, che non esita ad entrare in sciopero quando la dirigenza lo sospende per le sue abitudini poco da atleta. Moreno è infatti solito, prima di ogni partita, divorare un’abbondante razione di pollo innaffiata con una bottiglia di vino rosso. Dopo aver tentato di sostituirlo col latte, e aver disputato la sua peggior partita, nessuno potrà più convincerlo ad abbandonare le sue abitudini.
La conquista di due titoli nazionali consecutivi, nel 1936 e nel 1937, fa da antipasto al dominio del Millonarios nei primi anni del nuovo decennio. Con la prima linea formata da Moreno, Pedernera, Labruna, Muñoz e Loustau il River Plate vince tre campionati su cinque e fornisce all’Argentina l’ossatura della squadra che conquista quattro volte la Copa América in cinque edizioni, tra il 1941 e il 1947.
Nell’anno dell’ultimo successo, condito dal premio di miglior giocatore del torneo, la “Máquina” è già stata smontata. Moreno si è trasferito in Messico, al Clube España, dove, con l’aiuto dell’ex nazionale spagnolo Lángara, vince il titolo nazionale e acquista un nuovo soprannome, “El Charro”, il termine col quale vengono chiamati i cowboys messicani. Torna poi al River, nel quale in due anni tiene a battesimo il giovane Alfredo Di Stéfano, prima di passare ai cileni dell’Universidad Católica, nel 1949, in tempo per vincere un altro campionato. Desta scalpore la cifra pagata al River, un record per l’epoca, ma per un giocatore che è ormai leggenda in Sudamerica, e che ha segnato 180 gol in 320 partite con i Millonarios, il sacrificio economico è adeguato.
Il ritorno in Argentina, nel 1950, gli permette finalmente di vestire la maglia del Boca Juniors, per il quale non ha mai nascosto di fare il tifo, prendendosi la rivincita per quel provino non superato, ma le sue peregrinazioni non finiscono qui. Ha ormai 35 anni quando accetta l’offerta degli uruguayani del Defensor Sporting, mentre ne ha 38 quando, dopo un’altra esperienza in patria, col Ferrocarril Oeste, passa all’Independiente Medellín, in Colombia, grazie al quale nel 1957 vince il suo dodicesimo titolo nazionale da allenatore/giocatore e conquista un record. Mai prima di allora, infatti, qualcuno era riuscito a laurearsi campione nazionale in quattro Paesi diversi.
Morirà, dopo una lunga carriera da allenatore, nell’agosto del 1978, poche settimane dopo la prima vittoria dell’Argentina in Coppa del Mondo. Quella Coppa del Mondo che non ha mai potuto giocare e che gli ha negato la fama planetaria, ma non la certezza che meglio di lui, in pochi hanno saputo trattare l’amato pallone.


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