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Eroi d'América: Guillermo Stábile

Eroi d'América: Guillermo Stábile

© foto di Nicolo' Zangirolami/Image Sport
 di  Oreste Giannetta   vedi letture

Le due vite del Filtrador. Guillermo Stábile è stato senza ombra di dubbio uno dei più forti attaccanti visti prima della Seconda Guerra Mondiale. Eppure, da giocatore, ha disputato solo quattro partite in nazionale, quattro partite che l’hanno proiettato nella leggenda. Nemmeno una Copa América sul campo per lui, che invece da tecnico diventerà il più vincente della storia del torneo.
Figlio di emigrati italiani, Stábile esordisce nel campionato argentino con la maglia dell’Huracán, nel 1920. Ha 19 anni e fino a quel momento ha strabiliato tutti nei tornei giovanili. Il salto tra i grandi non lo scompone, tanto che quando nel 1930 sarà chiamato in nazionale per il primo mondiale della storia, il suo bottino con la maglia del Globo sarà di 102 gol il 114 presenze. In Uruguay arriva come riserva di Roberto Cherro, idolo e miglior goleador del Boca Juniors, almeno prima dell’avvento di Palermo.
Dopo la prima rocambolesca vittoria con la Francia, Cherro lascia perché impegnato con gli esami all’università (proprio altri tempi) e il suo posto è preso da Stábile, che segna subito tre gol al Messico e due al Cile. Altre due reti in semifinale agli Stati Uniti accompagnano l’Albiceleste fino alla finale tanto attesa contro l’Argentina. El Filtrador lotta come un leone contro i difensori della Celeste. Nasazzi e Andrade sarebbero insuperabili per chiunque, ma Stábile riesce a superarli per il 2-1 che permette ai suoi di chiudere il primo tempo in vantaggio. Nella ripresa nulla potrà contro la riscossa dei padroni di casa e dovrà accontentarsi del titolo di primo capocannoniere della storia dei mondiali.
Subito dopo il torneo iridato accetta l’offerta del Genoa e torna nella terra dei suoi genitori. Arriva di venerdì, nel tripudio generale dei tifosi genoani che lo vogliono subito in campo due giorni dopo. Lui non si tira indietro, non lo farà mai, e dopo mezzora della gara contro il Bologna ha già segnato tre volte. Mussolini non ci mette molto a decidere di farlo naturalizzare, ma non riuscirà mai a vederlo in maglia azzurra. Un infortunio gravissimo, frattura del perone, lo tiene fermo per quasi un anno e ne pregiudica il rendimento, tanto più che poco dopo il rientro la sfortuna gli si accanisce contro con un nuovo infortunio alla stessa gamba. Il Genoa lo cede al Napoli, ma ormai non è più lui, tanto da rischiare di finire tra le riserve. Per evitarlo rescinde il contratto e si trasferisce a Parigi, al Red Star, col quale termina la carriera di calciatore nel 1938.
Nel club parigino scopre di avere doti di allenatore, ma i primi venti di guerra lo convincono a rientrare in patria, accettando la guida del San Lorenzo. Al ritorno non viene trattato bene, visto che i tifosi lo accusano di tradimento per aver abbandonato il proprio Paese appena raggiunta la fama. Per farsi perdonare non ha che da far vincere l’Argentina dalla panchina. Nel 1939 assume la guida della nazionale, della quale resterà il tecnico per quasi 20 anni. Sono anni d’oro per il calcio argentino e per il River Plate, in particolare. Fioriscono campioni, a partire dalla Maquina, guidata da José Manuel Moreno, che è decisivo per la vittoria del titolo continentale del 1941. La Copa América, mai disputata da calciatore, diviene il regno di Guillermo Stábile e della sua Argentina. Tra il 1945 e il 1947 completa un tris di vittorie mai più eguagliato da nessuno, potendo contare prima su Tucho Méndez, massimo goleador della storia del torneo, e poi su un fuoriclasse come Di Stéfano. Rivince nel 1955 e poi centra il sesto alloro due anni dopo, quando tiene a battesimo gli Angeli dalla faccia sporca, Sivori, Angelillo e Maschio.
A rompere l’idillio con l’Albiceleste sono i mondiali del 1958, che a Buenos Aires sono attesi come probabile consacrazione di una generazione d’oro. La convinzione è talmente alta che la federazione decide di non convocare i giocatori impegnati all’estero, convinta di essere comunque la più forte. Il campo darà un altro esito, con la sconfitta all’esordio contro i campioni in carica della Germania Ovest, seguita dall’ovvio successo sull’esordiente Irlanda del Nord e dall’umiliante 6-1 col quale la Cecoslovacchia rispedisce a casa i sudamericani e disarciona Stábile, costretto a lasciare dopo due decenni di successi.
Negli stessi anni nei quali guida la nazionale, Stábile continua il lavoro di tecnico di club. Dopo nove stagioni alla guida del suo primo amore, l’Huracán, passa al Racing Club di Avellaneda, col quale tra il 1949 e il 1951 centra un tris di successi in campionato. Dopo l’addio all’Albiceleste, invece, decide che è ora di lasciare la scena. Allena i ragazzini perché non riesce a stare lontano dal campo, ma rifiuta di tornare in nazionale per i mondiali del 1966. Nel dicembre di quell’anno, a 65 anni, gioca una partitella con i suoi allievi del Racing e segna due reti, dimostrando di non aver perso il fiuto del gol. Il giorno dopo, però, un malore pone fine alla sua vita, una vita dedicata al calcio e caratterizzata da un comportamento sempre esemplare.


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