Dal 1987 al 1995, il regno del Re Leone
© foto di Daniele Buffa/Image Sport La Copa América entra nell'era moderna. Arrivano le nazionali ospiti e il Messico sfiora il successo al primo colpo. Il vero protagonista del decennio è però Gabriel Batistuta, che trascina l'Argentina a suon di gol.
Dopo tre edizioni la Copa vira verso una formula più agevole. Niente più gare di andata e ritorno, ma di nuovo un Paese organizzatore. La CONMEBOL decide di dare la possibilità, a rotazione, a ogni nazione di organizzare il torneo sui propri campi. Inizia nel 1987 l’Argentina campione del mondo, che parte ovviamente come favorita, vincendo agevolmente il proprio raggruppamento. Stessa storia per la Colombia e, a sorpresa, per il Cile che rifila un poker di gol al Brasile. In semifinale i cileni continuano a sorprendere, eliminando la Colombia dopo due supplementari al cardiopalma, mentre i padroni di casa si arrendono tra la delusione generale all’Uruguay, grazie alla rete di Alzamendi, che nel dicembre precedente aveva regalato la Coppa Intercontinentale proprio al River Plate. La finale del Monumental è combattutissima, con due espulsi per parte, e viene decisa a favore della Celeste dal ventiduenne Bengoechea al decimo della ripresa.
Due anni dopo tocca al Brasile organizzare il torneo e partire con i favori del pronostico, in un’edizione che vede un nuovo cambio di formula, con due gironi da cinque squadre destinati a promuovere le prime due al raggruppamento finale. I verdeoro, guidati in panchina dal mai amato Lazaroni, passano il turno come secondi, preceduti per differenza reti dal Paraguay nonostante la doppietta di Bebeto nello scontro diretto. Dall’altra parte, invece, avanzano come previsto Argentina e Uruguay, con l’Albiceleste prima dopo l’1-0 firmato Caniggia nel derby de La Plata. Il derby torna nel girone di finale, ma stavolta vede prevalere la Celeste, grazie alla doppietta del futuro interista Rubén Sosa. Superato l’ostacolo argentino, però, l’Uruguay si trova di fronte l’insormontabile muro rappresentato dal Brasile, che fa suo il trofeo nella sfida decisiva col gol partita di Romário, reduce dalla prima stagione europea col PSV. È il Cobra, dunque, a firmare il ritorno sul trono dei verdeoro, a 40 anni di distanza dall’ultima volta.
Nel 1991 l’organizzazione spetta al Cile e, approfittando del fattore campo, gli andini, guidati da Iván Zamorano, si guadagnano l’accesso al girone finale alle spalle dell’inarrestabile Argentina. L’Albiceleste non ha Maradona, ma in attacco si giova dell’esplosione di un giovane centravanti di 22 anni che sta per lasciare il Boca Juniors per tentare la fortuna in Italia: Gabriel Batistuta. Nell’altro girone comanda a sorpresa la Colombia, che sta vivendo gli anni migliori della sua storia. Per i Cafeteros, che tre anni dopo arriveranno al mondiale sognando in grande, c’è il primato davanti al Brasile di Falcão, privo di molte delle sue stelle e finito davanti all’Uruguay solo per differenza reti, grazie al gol segnato all’Ecuador, nei minuti conclusivi, dallo sconosciuto Luiz Henrique. La fase finale si apre col 3-2 dell’Argentina proprio al Brasile, che di fatto lancia gli uomini di Basile verso il successo finale. Il pareggio col Cile tiene in vita le speranze verdeoro fino all’ultimo turno, quando Simeone e Batistuta firmano la vittoria sulla Colombia che vale il ritorno sul tetto del continente dopo oltre quattro decenni.
L’edizione del 1993, ospitata in Ecuador, è un altro punto di svolta, con l’esordio delle nazionali ospiti, in questo caso i nordamericani Messico e Stati Uniti. La formula prevede ora tre gironi da quattro squadre che promuovono le prime due e le migliori terze ai quarti di finale. Deludono gli statunitensi, che si avviano ad organizzare il loro mondiale, mentre brillano i padroni di casa, primi davanti all’Uruguay, così come il Perù e la Colombia, che precedono Brasile e Argentina, con Messico e Paraguay qualificate come terze. Ai quarti prosegue la marcia dell’Ecuador, che travolge il Paraguay, mentre il Messico si sveglia e fa un sol boccone del Perù. Vanno ai rigori le altre due sfide, con la Colombia che elimina l’Uruguay dopo aver raggiunto il pari a due minuti dal termine, mentre l’Argentina fa suo il big match col Brasile, pur senza brillare. Stesso scenario in semifinale, vinta nuovamente con i tiri dal dischetto dopo un anonimo 0-0 con la Colombia, mentre dall’altra parte Messico ed Ecuador si giocano un traguardo storico e ad avere la meglio sono i primi, che dunque centrano la finale al primo colpo. E in finale, i Tricolores danno del filo da torcere all’Argentina, pareggiando con un rigore di Galindo la prima rete di Batistuta, ma non potendo nulla, però, dopo il bis del Re Leone, che firma quindi da protagonista anche il bis.
Tocca all’Uruguay organizzare l’edizione del 1995 e la Celeste, pur attraversando un momento di crisi, tira fuori l’orgoglio, marchio di fabbrica della sua storia calcistica. Il girone è vinto con autorità davanti a Paraguay e Messico, mentre il Brasile campione del mondo chiude a punteggio pieno sulla Colombia e l’Argentina cede il primo posto ai sorprendenti Stati Uniti, con l’altrettanto sorprendente Bolivia terza. Proprio la Bolivia è l’avversaria dei quarti, per i padroni di casa, che si portano sul doppio vantaggio col futuro vicentino Otero e con Fonseca, prima di subire la rete del 2-1 e soffrire fino all’ultimo. Sono comunque gli unici a centrare la semifinale senza bisogno dei calci di rigore, che sugli altri campi premiano la Colombia, sul Paraguay, gli Usa, nel derby col Messico, e il Brasile, che ha la meglio sull’Argentina dopo uno spettacolare 2-2. Al Brasile, a questo punto, vanno i favori del pronostico, anche dopo il risicato 1-0 agli Stati Uniti firmato dal romanista Aldair, ma l’avversario della finalissima sarà l’Uruguay, sua bestia nera da sempre, che si impone con un classico 2-0 sulla Colombia. La tradizione verrà rispettata, visto che al Centenario Túlio porta avanti i verdeoro, prima che il subentrato Bengoechea si confermi a suo agio nelle finali pareggiando su punizione. Per la prima volta il titolo si decide ai rigori e il Brasile, dopo la gioia mondiale di Pasadena, stavolta si arrende proprio per l’errore di Túlio. Esulta l’Uruguay, dunque, che riaggancia l’Argentina per numero di vittorie e festeggia nel migliore dei modi l’addio ai grandi palcoscenici di Enzo Francéscoli, il suo miglior giocatore degli ultimi decenni.
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