Eroi d'América: Norberto Méndez
© foto di Nicolo' Zangirolami/Image Sport Bomber implacabile, ma non solo. Anche dribblatore sopraffino e dalla spiccata personalità. L'unico limite di Norberto Méndez, come molti campioni della sua epoca, fu di non disputare la Coppa del Mondo e di non aver mai lasciato la sua Argentina.
Qualche puntata fa abbiamo ricordato la storia di José Manuel Moreno, uno dei migliori giocatori di sempre, anche se poco conosciuto. Oggi tocca a chi, negli anni Quaranta, gli contendeva la fama e i campionati in Argentina, oltre al posto in nazionale. Fino al punto da costringere il C.T. della Selección, Guillermo Stábile, a spostare Moreno sulla sinistra del reparto d’attacco, perché di Méndez non poteva farne a meno. Negli anni, infatti, cambieranno i suoi partner d’attacco, anche per la grande fioritura di talenti argentini del periodo, da Pontoni e Martino a Labruna e Pedernera, ma l’unico a mantenere saldo il suo posto in avanti sarà lui, con Moreno “costretto” ad assisterlo. Tra i due c’era molta differenza per quanto riguarda il fisico, perché se Moreno faceva della potenza la sua arma in più, Méndez era più un fiorettista dal fisico agile e dalla tecnica raffinatissima.
Mentre Moreno comincia a collezionare titoli col River Plate, Tucho (dal nome di un amico di famiglia morto il giorno della sua nascita) Mendez entra nelle giovanili dell’Huracán, per poi esordire in prima squadra nel 1941, andando subito a segno contro il Lanús. Il Globo, pur avendo un passato glorioso, non può competere con lo strapotere dei Millonarios, ma Méndez riesce comunque a mettersi in mostra, tanto da conquistarsi il posto in nazionale per la Copa América del 1945. L’Argentina fa suo il titolo, mentre Méndez chiude da capocannoniere con sei reti, tra le quali spicca la tripletta decisiva al Brasile, nel 3-1 che in pratica consegna la Copa all’Albiceleste. Uno dei gol, con un bolide da oltre trenta metri, sarà sempre ricordato da Méndez come il più bello della sua carriera.
Ormai idolo di tutto il Paese, si ripete l’anno dopo, con la doppietta che affossa nuovamente la Seleçao e consegna l’ottavo alloro agli argentini, pur dovendosi arrendere all’uruguayano Medina nella classifica marcatori. E ancora nel 1947, quando arriva un fantastico tris. Di nuovo un uruguayano, stavolta Falero, lo precede sul trono dei bomber, ma Méndez regala magie in compagnia dell’amico-nemico Moreno e del giovane Di Stéfano. La sua carriera nel torneo continentale si chiude così, con 17 centri in tre partecipazioni che gli valgono il primo posto nella classifica all-time in compagnia del brasiliano Zizinho.
Proprio nel 1947 decide che sarebbe bello vincere qualcosa anche a livello di club. Si trasferisce quindi ad Avellaneda, accettando l’offerta dell’ambizioso Racing Club, guidato proprio da Stábile, il suo più grande estimatore. Con la maglia bianco azzurra dell’Academia, che non vinceva nulla da quasi due decenni, centra un tris di titoli nazionali dal 1949 al 1951. Alla soglia dei 30 anni, e dopo una tournée europea nella quale raccoglie applausi anche dagli appassionati del Vecchio Continente, passa per due stagioni al Tigre, per poi tornare al suo primo amore, l’Huracán, col quale chiude la carriera.
Una carriera sempre in prima linea (sarà tra i fondatori del sindacato dei calciatori, nel 1948) consacrata sostanzialmente a tre maglie e che lui riassumerà con una frase. “L’Huracán è la mia fidanzata, il Racing mia moglie e l’Argentina è la mia amante”. Dopo il calcio si dedicherà alla sua seconda grande passione, il tango,al quale non rinunciò nemmeno durante la carriera.
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